lunedì 7 aprile 2014

All'approdo del cammino. Santiago de Compostela, la pioggia e certe grazie inattese.

Arrivo a Santiago de Compostela che piove a dirotto. Acqua dentro le scarpe, acqua sulle spalle, la pioggia raddoppia il grigiore della Cattedrale e di ciò che le sta intorno e prima di arrivarci, lungo la cintura urbana, è tutto un andirivieni caotico di macchine rumorose e universitari imbacuccati. Fa freddo e tira vento, quindi niente di nuovo sul fronte galiziano. Un pessimo posto per chi soffre di reumatismi. Al bar chiedo un "café solo", ma in Spagna i caffé ci tengono alla fama di essere brodaglie terribili ed il mio non fa eccezione. Chiedo che me lo allunghino con una generosa dose di latte e lo trasformo in un "café cortado" con un'altrettanta generosa dose di zucchero (io che il caffé lo bevo amaro). Alla tv il feretro di Adolfo Suárez portato con tutti gli onori su un affusto di cannone arriva alla Cattedrale di Ávila per i funerali di Stato. Tedeschi e giapponesi sembrano incuriositi dalla cosa mentre mischiano café con leche e tortillas de patatas con incantevole disinvoltura e discutono amabilmente nei loro incomprensibili idiomi. Ammetto che mi fossi fatta un'idea diversa dell'impatto che avrei avuto arrivando qui. Il sapore quasi magico, indubbiamente mistico di Santiago si avverte a posteriori quando una volta andati via resta il ricordo ripulito dalla spessa buccia stratificatasi con violenza intorno alla Cattedrale fatta da ristoranti di pesce, negozi di souvenir, turisti stakanovisti delle foto ricordo. E poi questa pioggia alla quale, per scendervi a patti, do un valore simbolico forte che si fa strada con naturalezza: credo che tutto sommato sia una pioggia giusta.
https://www.flickr.com/photos/rominarena/13694032743/
Cercando la propria Compostela. Guarda l'immagine in alta risoluzione su Flick

A Santiago si dovrebbe arrivare con le piaghe ai piedi, dopo giorni di marce estenuanti. Non un liturgico senso di sacrificio, che non mi appartiene, ma il rispetto antico per una meta che va raggiunta attraverso un cammino che poi è un percorso interiore che non ammette l'utilizzo dell'automobile. Lungo il tragitto ho incontrato gruppi di pellegrini spaesati con la loro concha orgogliosamente arrotolata su una spalla dello zaino. Ho guardato istintivamente le scarpe con le quali camminavano senza spiegarmelo subito il perchè. Avrei potuto guardare gli zaini, le loro giacche a vento, cercare sorrisi di compiacimento e soddisfazione. Invece mi hanno catturato le scarpe di tela leggera ed i loro volti stanchi, seri ed assorti in una contemplazione tutta loro, concentrati a scandagliarsi dentro per mettere in ordine le emozioni e le ragioni che ha restituito loro la strada. La testa ed i piedi. Non mi stupisce.  Mi erano fraternamente familiari per altre suggestioni, per discorsi fatti altrove, per affetti profondi che queste strade batteranno tra non molto.
La facciata della Cattedrale è in ristrutturazione, di fotografia suggestive, quindi, non se ne parla. Sfoderare e rinsaccare la macchina fotografica per proteggerla dall'acqua è una pratica frustrante, cambiare l'obiettivo una tortura.
Sembra un giorno poco indicato per trovarsi qui e invece, nonostante tutto, è un giorno fortunato. Una troupe tedesca sta girando un documentario, li vedo solerti e attenti e malgrado l'attrezzatura ingombrante non fanno un fruscio, non un rumore molesto. Nulla. Passano quasi del tutto inosservati, non fosse per le telecamere ed i fili. Grazie a questo gruppo silenzioso ho la fortuna di rivalutare questa giornata un pò avara di emozioni e di assistere alla cerimonia culmine di Santiago, la più toccante ed emotivamente complessa: "el baile del Botafumeiro", il grande incensiere posto al centro della Cattedrale e fatto oscillare da un lato all'altro della navata orizzontale a forza di reni e di canti.
Ho avuto attimi di esitazione: fotografare o riprendere, riprendere o fotografare? Poi sono stata sopraffatta, io che con la religione non spartisco nulla. Sopraffatta dall'intensità del momento, dalla magnificenza delle oscillazioni così larghe e che disegnano morbide scie di fumo lungo il tragitto, un volo così leggiadro che non lo crederesti mai aver bisogno di almeno 6 o 7 uomini per dargli lo slancio. Quei minuti così vicini ad una sensazione di estasi che non è liturgia se non meraviglia allo stato puro, cancellano tutto il contesto intorno fatto di turisti ansiosi di portarsi dietro una foto fosse anche mossa o un video fosse anche incomprensibile. Mi sembra che si siano persi comunque qualcosa, presi dall'ansia di non perdersi nulla.

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