Cercando la propria Compostela. Guarda l'immagine in alta risoluzione su Flick |
A Santiago si dovrebbe arrivare con le piaghe ai piedi, dopo giorni di marce estenuanti. Non un liturgico senso di sacrificio, che non mi appartiene, ma il rispetto antico per una meta che va raggiunta attraverso un cammino che poi è un percorso interiore che non ammette l'utilizzo dell'automobile. Lungo il tragitto ho incontrato gruppi di pellegrini spaesati con la loro concha orgogliosamente arrotolata su una spalla dello zaino. Ho guardato istintivamente le scarpe con le quali camminavano senza spiegarmelo subito il perchè. Avrei potuto guardare gli zaini, le loro giacche a vento, cercare sorrisi di compiacimento e soddisfazione. Invece mi hanno catturato le scarpe di tela leggera ed i loro volti stanchi, seri ed assorti in una contemplazione tutta loro, concentrati a scandagliarsi dentro per mettere in ordine le emozioni e le ragioni che ha restituito loro la strada. La testa ed i piedi. Non mi stupisce. Mi erano fraternamente familiari per altre suggestioni, per discorsi fatti altrove, per affetti profondi che queste strade batteranno tra non molto.
La facciata della Cattedrale è in ristrutturazione, di fotografia suggestive, quindi, non se ne parla. Sfoderare e rinsaccare la macchina fotografica per proteggerla dall'acqua è una pratica frustrante, cambiare l'obiettivo una tortura.
Sembra un giorno poco indicato per trovarsi qui e invece, nonostante tutto, è un giorno fortunato. Una troupe tedesca sta girando un documentario, li vedo solerti e attenti e malgrado l'attrezzatura ingombrante non fanno un fruscio, non un rumore molesto. Nulla. Passano quasi del tutto inosservati, non fosse per le telecamere ed i fili. Grazie a questo gruppo silenzioso ho la fortuna di rivalutare questa giornata un pò avara di emozioni e di assistere alla cerimonia culmine di Santiago, la più toccante ed emotivamente complessa: "el baile del Botafumeiro", il grande incensiere posto al centro della Cattedrale e fatto oscillare da un lato all'altro della navata orizzontale a forza di reni e di canti.
Ho avuto attimi di esitazione: fotografare o riprendere, riprendere o fotografare? Poi sono stata sopraffatta, io che con la religione non spartisco nulla. Sopraffatta dall'intensità del momento, dalla magnificenza delle oscillazioni così larghe e che disegnano morbide scie di fumo lungo il tragitto, un volo così leggiadro che non lo crederesti mai aver bisogno di almeno 6 o 7 uomini per dargli lo slancio. Quei minuti così vicini ad una sensazione di estasi che non è liturgia se non meraviglia allo stato puro, cancellano tutto il contesto intorno fatto di turisti ansiosi di portarsi dietro una foto fosse anche mossa o un video fosse anche incomprensibile. Mi sembra che si siano persi comunque qualcosa, presi dall'ansia di non perdersi nulla.
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