venerdì 5 ottobre 2012

Cosa scatta quando si scatta: breve viaggio interiore alla ricerca dell'otturatore dell'anima


...in waterland

La fotografia è una ricerca avida che spesso si accorda alla necessità di assecondare il proprio stato emotivo davanti a qualcosa, il desiderio della testimonianza o il puro senso estetico di aver percepito "qualcosa" fosse anche di un muro totalmente bianco. La quotidianità spesso ci sembra una tavolozza dozzinale, con banalissimi colori primari che non siamo in grado di mischiare tra loro e siamo molto più inclini a guardare con disprezzo alla tavolozza piuttosto che alla nostra incapacità di sporcarci le mani, pasticciando i colori fra loro. Guardarsi intorno con lo stesso sbigottimento di un bambino, accettando di farsi investire dalla tavolozza senza giudicarla per la sua miseria cromatica è la porticina di Alice che si apre verso un mondo nuovo o verso lo stesso mondo visto con occhi diversi.
Perchè fotografare, allora? Non certo per darsi risposte. Anders Petersen, giustamente, dice che la fotografia non deve dare risposte, ma è bravissima a provocare domande. Al momento dello scatto, ma soprattutto dopo. Aspettare una risposta è come aver atteso per ore un autobus sotto la pioggia, senza l'ombrello e quando l'autobus arriva, lasciarlo andare via senza salirci sopra.
La fotografia è il dubbio, l'interrogativo, la conseguenza della curiosità per chi la scatta e per chi la guarda. Con tutti i suoi elementi e la composizione, una fotografia è in grado di partorire una storia ed ogni storia che si rispetti procede per nodi. Ogni nodo è la più semplice, al tempo stesso la più complessa, e ricca delle domande: e poi? Una fotografia, come una storia, ci spinge a volerne sempre di più, a chiederci sempre più cose per scardinare il mistero, cosa c'era prima; cosa ci sarà dopo; che tempo c'era fuori; di che colore gli occhi, i capelli; quella tazza lì sul mobile in attesa di chi; quel viso contratto per colpa di cosa e la ricerca diventa un susseguirsi di interrogativi strettamente personali, legati alla nostra intima esperienza con quella foto. E senza accorgercene siamo protagonisti del meccanismo opposto: è la fotografia che, formulandoci le domande per venirne a capo, cerca in noi una risposta a se stessa.
 
Il mio approccio alla fotografia è di pancia, mi stupisco sempre del fatto che quel qualcosa si stia srotolando lì, in quel momento, proprio sotto i miei occhi e che io sia lì per egoismo, vanità, fortuna e quando metto l'occhio nel mirino tutto quello che resta fuori si resetta. Scatto e penso a quello che c'è lì subito nell'immediato, la sento come una botta in testa l'esigenza, o peggio, l'urgenza di cristallizzare quell'attimo (per me, per quello che vedo, per come lo vivo). Ce l'hai la sensazione che quello non sarà uno scatto a casaccio perchè quello che incornici nel mirino è già una storia che vuole essere raccontata con le tue parole, che le storie di parole loro non ne hanno. Quello che mi colpisce è il frangente in cui l'azione si svolge, la sfumatura si sviluppa; quello che leggo all'improvviso su un viso e sul corpo di un estraneo è l'attimo esatto in cui la vita stessa si moltiplica, in un frammento piccolissimo. Appena l'otturatore si è richiuso su se stesso, quell'attimo è già passato, è già storia che io ho fermato per sempre. L'impressione di quell'istante è la sensazione viva che quello sarà un rettangolo pieno di parole, che vuole raccontarmi qualcosa facendo domande e mi chiede di costruirgliela intorno, quella storia.
Quando tutto questo si avvera, il bambino avrà vinto, la tavolozza non sarà più la cenerentola delle Belle Arti, Alice si sarà chiusa la porticina alle spalle, io avrò trovato il Bianconiglio e domato il Brucaliffo.

 
"Chi sa se un giorno avrebbe raccolto intorno a sé altre bambine, per fare che i loro occhi brillassero come stelle al racconto del suo (oramai tanto lontano) viaggio nel Paese delle Meraviglie.
Chissà se avrebbe saputo partecipare, ancora con lo stesso cuore ai piccoli dispiaceri e alle loro semplici gioie, nel ricordo della sua vita di bambina e dei suoi felici giorni d'estate.
Lei era certa che Alice ne sarebbe stata capace".
- Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie -











 

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