lunedì 1 ottobre 2012

Чайка il gabbiano

 
 
Il vento freddo spazzava il pomeriggio e all'orizzonte si addensavano cumuli di nuvole nere, basse, minacciose. Di tanto in tanto un fulmine che si perdeva nella salsedine tagliava lo Stretto come quando si strappa a metà un disegno. Da un lato rimaneva la punta estrema della Sicilia, chiara, piatta,  che dall'altra parte potevi già immaginarti il Golfo di Milazzo. Dall'altro lato lo spuntone di Calabria, col suo pilone abbandonato e la montagna verde che scende scoscesa verso la costa. In mezzo tanta acqua gonfia, barche, pescatori che scrutavano il cielo con rassegnazione e qualche parola illegittima mormorata tra i denti, tirando all'asciutto reti e fasciame, che la giornata non è buona per uscire per mare.
Il lungomare era deserto, a parte qualche podista che accelerava il passo perchè l'acqua non lo cogliesse a metà strada e vecchine distratte appena uscite da messa che annusavano l'aria per capire l'acqua quando sarebbe arrivata. Nessuno si fidava a rimanere lì con quei purosangue di vapore che schiacciavano contro le montagne.
Il cattivo tempo è un viaggio intimo destinato a pochi.
Solo i gabbiani, solo loro, si fanno portare dal vento e corrono incontro al nuvolame come fosse un gioco, una sfida, un carosello. Si guardano intorno mentre sfrecciano nell'aria, curiosi, liberi. Possono fare quello che noi non possiamo fare, che mentre loro si godono il tepore dell'acqua che trattiene il calore sul finire della giornata, noi sgattaioliamo via come faine impaurite al terrore di due gocce che ci arriccino i capelli, ci feriscano le scapole di raffreddore, ci inzuppino le scarpe e i piedi.
E loro sono felici che questo limite noi non potremo mai superarlo, galleggiano nella loro pennuta indifferenza, nella loro impermeabile superiorità, regalando, per la nostra invidia e finitezza, geometrie variabili, numeri da saltimbanchi, funamboli su fili invisibili. Ci regalano i sogni che non sappiamo fare, le emozioni che non sappiamo provare e la libertà che temiamo di avere. E quanto più questo ci fa paura, tanto più cerchiamo di scacciare via quel frullo di ali con manate goffe, lo ricacciamo indietro come un conato di vomito, lo rinneghiamo e lo spezziamo come la falena sotto una lama di luce. La temiamo, la spelonca policroma che ci portiamo scavata nel cuore, abitata dalla bellezza, da una forma suprema di amore per la vita, che non c'è niente più bello di questo: emozionarsi. Per umanità.
 
Il gabbiano volava verso di me per la gaia gioia del mio obiettivo. Dietro le ali il tumulto del tempo che si accaniva e il mondo che si arruffava. Il gabbiano però volava e se ne fregava. Tanto sapeva che il mio obiettivo non era un fucile nè io un cacciatore, che le mie mani non erano zanne, nè la mia borsa una rete. Ed ha deciso di regalarmi una storia. Per amore. Per umanità.
 
"Una giovane donna vive tutta la sua vita in riva a un lago. Lei ama il lago, come un gabbiano, ed è felice e libera, come un gabbiano. Ma per caso arriva un uomo, e quando la vede la distrugge, per pura noia. Come questo gabbiano".
                                                               
 - Anton Čechov, Il gabbiano-  

1 commento:

  1. Ciao Romina,
    scusami se ti scrivo qui, ma non saprei dove altro contattarti. Mi chiamo Marta e sto scrivendo una tesi sul mondo dell'analogico, volevo chiederti se fossi interessata ad una intervista, anche solo su skype va bene, per parlare unpò insieme di questo mondo. Il tuo contatto mi è stato consigliato da Silvia di Holgamydear e tra le intervistate c'è anche Erika di PrettyInMad. Te lo dico per assicurarti che il mio progetto è serio e non voglio assolutamente farti perdere tempo. Se ti va di collaborare contattami pure su marta.amabile@gmail.com Ovviamente l'ora e il giorno lo deciderai tu.
    ti ringrazio

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